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20090430 CGIL – Primo Maggio, Festa dei lavori e dei lavoratori

30 aprile 2009

1° maggio, Festa dei lavori e dei lavoratori

 

 
Un lavoratore libero, competente, creativo, in qualunque campo esso operi, questa la visione di Bruno Trentin come sbocco di un secolo di lotte del movimento sindacale verso l’emancipazione. Una visione sempre più contrastata da un’ideologia che propugna un’organizzazione del lavoro gerarchica e burocratica dove efficacia e risultato diventano marginali come la persona che lavora.
Una visione che per i lavoratori della conoscenza è condizione indispensabile.

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Da un’intervista rilasciata da Bruno Trentin alla rivista della FLC Cgil nel maggio 2006

“Capire” il lavoro, oggi, significa essere in grado di coglierne le differenze rispetto, ad esempio, agli anni della prima rivoluzione industriale o anche agli anni, ormai lontani, dell’automazione dell’economia in senso fordista. […] Rispetto a quei tempi […] sta sempre più emergendo il lavoro della persona in quanto tale. I lavoratori, insomma, non si impegnano più nell’attività produttiva solo sulla scorta di una certa quantità di ore erogate, i cui contenuti rimangono nelle mani dell’impresa, ma vi partecipano con conoscenze e responsabilità nuove che, nel secolo che ormai sta alle nostre spalle, venivano del tutto ignorate. La conseguenza è scontata: nella società contemporanea il lavoro, mentre da una parte aumenta il suo peso, dall’altra chiede di essere riconosciuto come indissociabile dalle persone. Il mercato del lavoro, insomma, diventando sempre più diversificato ed articolato, vede balzare in primo piano – nei rapporti tra le forze in campo – il problema dell’affermazione della libertà dei singoli. È questa, e non l’“alienazione”, la vera chiave di volta dei nostri tempi. Certo, di “alienazione” economica si può ancora parlare, ma con riferimento ai paesi soprattutto del Terzo mondo. Nei paesi industrializzati, al contrario, lì dove il lavoro è ricco di saperi e di specialità, l’“alienazione” tende ormai a ridursi entro margini di modesta entità. Di conseguenza, il vero problema è quello di sconfiggere il rapporto di subordinazione, poiché esso ostacola, rendendola impossibile, l’affermazione della persona in quanto capacità creatrice. […]

La libertà riguarda non solo il lavoro salariato, ma anche quelle nuove forme, più o meno bastarde, che si vogliono dare al lavoro retribuito, su progetti elaborati per un tempo determinato. Conseguenza di questa situazione sono i cosiddetti contratti atipici, i quali hanno visto nascere quei falsi lavoratori autonomi che, nella realtà, dipendono sempre da una ben precisa autorità: quella dell’imprenditore che magari lascia ad altri la commessa e delocalizza il lavoro in varie forme. Ebbene, quanto più questo processo tende ad affermarsi nel mondo del lavoro, tanto più la questione della dignità e della libertà della persona, proprio in quanto destinata a svolgere una occupazione instabile, diviene centrale. Il lavoratore, indipendentemente dalla grandezza dell’impresa, viene infatti caricato di nuove responsabilità. Non più legato a questioni di fedeltà, come avveniva nel passato, nel presente egli avverte il peso di un rapporto di subordinazione, spesso di subalternità, che gli impedisce di realizzarsi come persona nel proprio lavoro. […] Io non credo ad un mondo di “felicità” dal quale sia bandito il lavoro. Le persone si realizzano, prima di tutto, proprio attraverso di esso. Desiderano però svolgere un’attività in cui siano anche libere di compiere alcune scelte fondamentali, tanto sul piano professionale che sul piano dell’arricchimento delle loro conoscenze. Desiderano insomma un lavoro in cui la decisione di realizzare se stessi non venga ostacolata, o frustrata da un rapporto fondato sull’oppressione. […] Di qui la mia convinzione che il movimento sindacale debba impegnarsi per far valere i diritti universali dell’uomo e del cittadino, da cui non possono essere esclusi i tanti diversi lavoratori, le tante diverse forme di lavoro e di contratto oggi esistenti. […]
Il precariato […] è la grande minaccia che oggi incombe sulle società contemporanee. […] non ci troviamo di fronte soltanto ad una questione di “occupazione discontinua”, bensì ad un fenomeno che, di fatto, esclude dalla società civile un numero sempre più grande di persone. Ma non di solo lavoro si tratta: quando un individuo non è libero nel proprio lavoro, e dunque vive nell’incertezza quotidiana, tende anche ad escludersi dalla vita politica, con grave danno della stessa vita democratica del Paese”.

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>> Speciale 1° maggio 2009: il lavoro unisce <<

1° Maggio 2009: Cgil, Cisl e Uil insieme all’Aquila.
Una manifestazione sobria a fianco di chi ha bisogno di ricominciare e ricostruire. Per mettere sotto i riflettori i problemi della gente.

“Il mondo che vorrei” è il motto del tradizionale concerto di Piazza S. Giovanni a Roma. Un auspicio per i giovani.

30 aprile 2009

1° maggio, Festa dei lavori e dei lavoratori

 

 
Un lavoratore libero, competente, creativo, in qualunque campo esso operi, questa la visione di Bruno Trentin come sbocco di un secolo di lotte del movimento sindacale verso l’emancipazione. Una visione sempre più contrastata da un’ideologia che propugna un’organizzazione del lavoro gerarchica e burocratica dove efficacia e risultato diventano marginali come la persona che lavora.
Una visione che per i lavoratori della conoscenza è condizione indispensabile.

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Da un’intervista rilasciata da Bruno Trentin alla rivista della FLC Cgil nel maggio 2006

“Capire” il lavoro, oggi, significa essere in grado di coglierne le differenze rispetto, ad esempio, agli anni della prima rivoluzione industriale o anche agli anni, ormai lontani, dell’automazione dell’economia in senso fordista. […] Rispetto a quei tempi […] sta sempre più emergendo il lavoro della persona in quanto tale. I lavoratori, insomma, non si impegnano più nell’attività produttiva solo sulla scorta di una certa quantità di ore erogate, i cui contenuti rimangono nelle mani dell’impresa, ma vi partecipano con conoscenze e responsabilità nuove che, nel secolo che ormai sta alle nostre spalle, venivano del tutto ignorate. La conseguenza è scontata: nella società contemporanea il lavoro, mentre da una parte aumenta il suo peso, dall’altra chiede di essere riconosciuto come indissociabile dalle persone. Il mercato del lavoro, insomma, diventando sempre più diversificato ed articolato, vede balzare in primo piano – nei rapporti tra le forze in campo – il problema dell’affermazione della libertà dei singoli. È questa, e non l’“alienazione”, la vera chiave di volta dei nostri tempi. Certo, di “alienazione” economica si può ancora parlare, ma con riferimento ai paesi soprattutto del Terzo mondo. Nei paesi industrializzati, al contrario, lì dove il lavoro è ricco di saperi e di specialità, l’“alienazione” tende ormai a ridursi entro margini di modesta entità. Di conseguenza, il vero problema è quello di sconfiggere il rapporto di subordinazione, poiché esso ostacola, rendendola impossibile, l’affermazione della persona in quanto capacità creatrice. […]

La libertà riguarda non solo il lavoro salariato, ma anche quelle nuove forme, più o meno bastarde, che si vogliono dare al lavoro retribuito, su progetti elaborati per un tempo determinato. Conseguenza di questa situazione sono i cosiddetti contratti atipici, i quali hanno visto nascere quei falsi lavoratori autonomi che, nella realtà, dipendono sempre da una ben precisa autorità: quella dell’imprenditore che magari lascia ad altri la commessa e delocalizza il lavoro in varie forme. Ebbene, quanto più questo processo tende ad affermarsi nel mondo del lavoro, tanto più la questione della dignità e della libertà della persona, proprio in quanto destinata a svolgere una occupazione instabile, diviene centrale. Il lavoratore, indipendentemente dalla grandezza dell’impresa, viene infatti caricato di nuove responsabilità. Non più legato a questioni di fedeltà, come avveniva nel passato, nel presente egli avverte il peso di un rapporto di subordinazione, spesso di subalternità, che gli impedisce di realizzarsi come persona nel proprio lavoro. […] Io non credo ad un mondo di “felicità” dal quale sia bandito il lavoro. Le persone si realizzano, prima di tutto, proprio attraverso di esso. Desiderano però svolgere un’attività in cui siano anche libere di compiere alcune scelte fondamentali, tanto sul piano professionale che sul piano dell’arricchimento delle loro conoscenze. Desiderano insomma un lavoro in cui la decisione di realizzare se stessi non venga ostacolata, o frustrata da un rapporto fondato sull’oppressione. […] Di qui la mia convinzione che il movimento sindacale debba impegnarsi per far valere i diritti universali dell’uomo e del cittadino, da cui non possono essere esclusi i tanti diversi lavoratori, le tante diverse forme di lavoro e di contratto oggi esistenti. […]
Il precariato […] è la grande minaccia che oggi incombe sulle società contemporanee. […] non ci troviamo di fronte soltanto ad una questione di “occupazione discontinua”, bensì ad un fenomeno che, di fatto, esclude dalla società civile un numero sempre più grande di persone. Ma non di solo lavoro si tratta: quando un individuo non è libero nel proprio lavoro, e dunque vive nell’incertezza quotidiana, tende anche ad escludersi dalla vita politica, con grave danno della stessa vita democratica del Paese”.

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>> Speciale 1° maggio 2009: il lavoro unisce <<

1° Maggio 2009: Cgil, Cisl e Uil insieme all’Aquila.
Una manifestazione sobria a fianco di chi ha bisogno di ricominciare e ricostruire. Per mettere sotto i riflettori i problemi della gente.

“Il mondo che vorrei” è il motto del tradizionale concerto di Piazza S. Giovanni a Roma. Un auspicio per i giovani.

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